L’importanza del ME, nel luogo di lavoro 

di Suzana Zlatkovic

 

Nel mio lavoro non posso prescindere da me, dalle mie forze, dal mio carattere o dalle mie esperienze pregresse. Quindi la domanda che mi faccio è la seguente: come posso conciliare questi aspetti, le mie prestazioni professionali con il mio privato, senza intaccarli o peggio comprometterli? 

Quanti mestieri ci impongono di essere presenti nella nostra totalità: insegnanti, operatori sociosanitari, soccorritori, artisti ecc. Tutti chiamati quasi quotidianamente ad essere presenti pienamente nello svolgimento del loro mestiere. Quando il lavoro diventa totalizzante, quali strumenti ho a disposizione per separare e valorizzare entrambi gli aspetti?

Se diamo per appresa l’esistenza del contratto psicologico, per quanto astratto, estremamente importante e presente nella nostra vita lavorativa, va da sé la necessità di rinnovarlo, riconoscendo la nostra crescita lavorativa ed emotiva, i nostri cambiamenti fisici ed esperienziali e dando una nuova e fresca lettura delle nostre abilità acquisite. Tracciando quindi ciò che è accaduto nella mia vita professionale, ma anche comprendendo come tutto questo sia stato condizionato dal mio privato.

 

 

Quanti luoghi di lavoro, pubblici o privati,  hanno gli spazi, il tempo, le risorse economiche e i percorsi strutturati per offrire questa complessa ma necessaria “revisione” al proprio personale?

Immaginando per un attimo che tutte le aziende e istituzioni pubbliche e private facciano un’attenta e frequente “manutenzione” del sistema emotivo e valoriale e dello sviluppo professionale di un gruppo di lavoro, ci verrebbe da chiedersi quanto sarebbero frequenti le malattie professionali e in quale direzione andrebbe la produttività dell’organizzazione?

Attualmente nella maggior parte delle aziende ed istituzioni pubbliche la formazione è strutturata per migliorare le prestazioni lavorative, con una particolare attenzione agli strumenti e alle competenze inerenti il lavoro, ma tutt’oggi si fa fatica a immaginare che l’esecutore del compito sia altrettanto fondamentale, che al centro di tutto ciò ci siano le persone.

Quindi, qualora avessimo bisogno di “manutenzione”, che cosa potremmo fare?

 

 

Tutti noi ci predisponiamo meglio verso offerte formative che si propongono come risolutive, che, anche lì dove queste vengono proposte in perfetta buona fede, rischiano di ingannare seriamente sia il lavoratore che la sua organizzazione. Non esistono percorsi formativi che ci mettano in mano la soluzione, esiste tuttavia la nostra abilità di ascoltare, di accogliere, di creare, di cambiare, e queste abilità che tutti abbiamo vanno semplicemente esercitate, “manutenute”.

Tutti abbiamo la capacità di gestire quello che sentiamo quando svolgiamo il nostro compito lavorativo, ma spesso questa preziosa abilità viene notata soltanto quando viene a mancare. E se trascurata a lungo crea lo spazio per i più bizzarri sistemi difensivi e per barriere variopinte, con il forte rischio di giungere alla sindrome del burnout.

Ovviamente, più il muro è alto, più ci impedisce di vedere oltre, di lasciarci andare, di fidarci del nostro datore di lavoro e del gruppo lavorativo. 

Quindi dobbiamo creare l’abitudine di “manutenerci”, per essere sempre in forma, dobbiamo apprendere gli esercizi necessari e creare gli spazi idonei in cui eseguirli, perché non sappiamo mai quali montagne dovremmo andare a scalare e quali muri abbattere.

 

foto: Suzana Zlatkovic